L’esecutore testamentario è tenuto a rendere il conto della gestione al termine della stessa, ed anche ad un anno dalla morte del testatore, qualora la gestione si prolunghi oltre l’anno (art.709 c.c.). Se la gestione si conclude prima del decorso di un anno dalla morte del testatore, egli è comunque egualmente obbligato a presentare il rendiconto della medesima.
La vicenda nasce dalla citazione in giudizio dell’esecutore testamentario da parte di due eredi, i quali chiedevano che gli fosse ordinato di rendere il conto della propria gestione, con la contestuale richiesta di condanna alla corresponsione dei frutti civili percepiti, nonché al risarcimento dei danni eventualmente cagionati.
Il convenuto resisteva in giudizio, eccependo innanzitutto il proprio difetto di legittimazione passiva, dato che aveva già rinunciato all’incarico, e sostenendo di non aver mai svolto attività di gestione.
Il Tribunale rigettava la domanda attorea; contro tale sentenza i due fratelli proponevano appello e la Corte distrettuale, con sentenza del 30 Aprile 2014, in totale riforma della sentenza di primo grado, condannava l’esecutore testamentario al pagamento della somma di euro 6.075,11, oltre interessi legali e spese per entrambi i gradi di giudizio.
La Corte d’Appello rilevava che erroneamente non era stato ordinato all’esecutore di rendere il conto della gestione, e che era altrettanto erronea la conclusione del Tribunale secondo cui i documenti in atti, depositati dall’originario convenuto, dimostrassero l’infondatezza della pretesa attrice, poiché solo una volta presentato il conto della gestione, sarebbe stato possibile contestare la correttezza dell’attività dell’esecutore testamentario.
Disattesa quindi questa eccezione, sulla base della CTU svolta in grado di appello relativamente ai canoni percepiti per alcune unità immobiliari di proprietà della madre degli appellanti, la Corte condannava l’esecutore testamentario al pagamento in favore degli attori dell’ammontare pari ai due terzi dei frutti prodotti dai beni in esame, oltre interessi legali dalla data di scadenza dei canoni al soddisfo.
L’esecutore testamentario ricorreva, quindi, presso la Suprema Corte, adducendo quattro motivi di ricorso.
Per quanto di nostro interesse, con il secondo motivo il ricorrente ha dedotto la violazione e falsa applicazione dell’art. 709 c.c., per aver la Corte d’Appello ordinato al ricorrente di rendere il conto della gestione.
In particolare, ha dedotto che la norma invocata prevedere che l’esecutore testamentario sia tenuto a presentare il conto della gestione anche trascorso un anno dalla morte del testatore, qualora la gestione si prolunghi oltre tale periodo.
Il ricorrente sosteneva che secondo l’art. 709 c.c., l’esecutore testamentario sarebbe tenuto alla presentazione del rendiconto della gestione anche trascorso un anno dalla morte del testatore, se la gestione si prolunga oltre tale periodo; poiché il ricorrente si era dimesso dopo pochi mesi dalla carica per quanto riguarda il padre degli originari attori, mentre non ne aveva svolta per quel che riguardava la madre, non poteva essergli ordinato di rendere il conto.
La Corte di Cassazione ha ritenuto il motivo infondato e ha rigettato il ricorso.
Sul punto la Suprema Corte ha precisato che l’interpretazione che il ricorrente offre della norma risulta smentita dallo stesso testo di legge, il quale prevede che il rendiconto, dal cui obbligo nemmeno il testatore può esonerare l’esecutore, debba essere reso al termine della gestione, e comunque in ogni caso alla scadenza dell’anno della morte del de cuius, ove la gestione continui.
Secondo la Suprema Corte, resta fermo l’obbligo della resa del conto al termine della gestione, e quindi anche prima dell’anno della morte del de cuius, qualora l’attività dell’esecutore si esaurisca prima (Cass. n. 2455/1984), dato che a norma dell’art. 709 c.c., l’esecutore testamentario è tenuto al rendiconto, quando la gestione si protrae oltre l’anno dalla morte del testatore, indipendentemente dal compimento dell’anno di effettiva gestione.