Il riconoscimento del figlio minore infraquattordicenne nato fuori dal matrimonio, già riconosciuto da un genitore, costituisce un diritto soggettivo dell’altro, tutelato nell’art. 30 cost., che può, tuttavia, essere sacrificato in presenza del rischio della compromissione dello sviluppo psicofisico del minore stesso. In questo quadro, si pone la necessità di realizzare un bilanciamento tra l’esigenza di affermare la verità biologica con l’interesse alla stabilità dei rapporti familiari, attraverso una valutazione in concreto dell’interesse del minore stesso. (Cass.4763/18).
La Corte d’Appello di Roma rigettava l’appello proposto da Tizia (genitore di Sempronia) nei confronti di Caio avverso la sentenza di primo grado, con la quale, ai sensi dell’art.250 co.4, il giudice aveva accolto la domanda proposta da quest’ultimo, tenendo così luogo del consenso mancante di Tizia relativo al riconoscimento da parte di Caio della figlia Sempronia. In particolare, la Corte territoriale affermava che i singoli episodi riferiti da Tizia al fine di screditare la figura di Caio, non fossero rilevanti a fronte dell’interesse prevalente del minore infraquattordicenne ad acquisire uno stato che completasse la propria personalità psico-fisica, ritenendo inoltre che il diritto del genitore al riconoscimento del figlio naturale non potesse porsi in contrasto con l’interesse del minore ma che, al contrario, esso si ponesse come completamento dello stesso. Inoltre, la Corte riteneva ingiustificato il rifiuto a prestare il proprio consenso da parte di Tizia, atteso che era necessario che Sempronia potesse giovarsi anche del nucleo familiare paterno e, in secondo luogo, si riconosceva che Caio avesse riconosciuto i reati commessi e se ne fosse assunto la piena responsabilità. In ultima istanza, si riteneva che l’adeguatezza dell’uno o dell’altro genitore dovesse essere oggetto di un separato giudizio, al fine di stabilire le modalità di affidamento e relativamente all’esercizio della potestà genitoriale. Tizia proponeva così ricorso per cassazione.
Dinanzi alla Suprema Corte Tizia lamenta sia la violazione dell’art.250, co. 4 c.c., sia la mancata considerazione delle violenze subite da quest’ultima da parte di Caio, nonché il mancato impegno da parte dello stesso per quanto concerna la crescita della figlia.
Gli Ermellini ritengono che il riconoscimento del figlio minore infraquattordicenne nato fuori dal matrimonio, già riconosciuto da un genitore, costituisce un diritto soggettivo dell’altro, tutelato nell’art. 30 cost., che può, tuttavia, essere sacrificato in presenza del rischio della compromissione dello sviluppo psicofisico del minore stesso. In questo quadro, si pone la necessità di realizzare un bilanciamento tra l’esigenza di affermare la verità biologica con l’interesse alla stabilità dei rapporti familiari, attraverso una valutazione in concreto dell’interesse del minore stesso.
La Corte ritiene che il solo giudizio relativo alla condotta morale del soggetto in questione (in questo caso il padre) o alla pendenza di processi penali nei suoi confronti, non sia di per sé sufficiente a considerare insussistente il diritto del genitore ad ottenere il riconoscimento del figlio naturale. Resta tuttavia ferma la rilevanza che può assumere il percorso di vita del richiedente e l’accertamento di gravi carenze come figura genitoriale, con conseguente compromissione dello sviluppo psico-fisico del minore. Nel caso di specie, ad avviso della Corte di cassazione il suddetto bilanciamento non è stato operato in concreto dalla Corte territoriale ma attraverso formule generali che valorizzano profili privi di concludenza, per cui il ricorso di Tizia viene accolto, con cassazione della sentenza e rinvio alla Corte d’appello di Roma in diversa composizione.