L’assegno divorzile consiste in un emolumento economico che uno dei due coniugi è tenuto a versare all’altro coniuge a seguito del divorzio, in particolare spettante alla parte che non abbia mezzi adeguati o comunque non possa procurarseli per ragioni oggettive.
Sin dalla sua introduzione (legge n. 898/1970) è stato oggetto di ampio dibattito giurisprudenziale, specie quanto ai criteri di assegnazione del medesimo, che sono stati oggetto della recente pronuncia delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione (Sent. Cass. SS.UU. n. 18287/2018). Nello specifico, viene in rilievo anzitutto l’eventuale disparità economica tra gli ex coniugi; si dovrà poi accertare se essa sia dipendente dalle scelte di conduzione della vita familiare adottate e condivise in costanza di matrimonio da moglie e marito, considerando altresì il sacrificio delle aspettative professionali e reddituali di una delle parti.
Sulla scia dei principi sanciti dalla menzionata pronuncia delle Sezioni Unite, si pone la recente ordinanza n. 26594/2019 della Corte di Cassazione, la quale chiarisce la natura assistenziale, compensativa e perequativa dell’assegno di divorzio in relazione alla vicenda di una ex moglie ancora giovane, che ha liberamente deciso di licenziarsi dal posto di lavoro, privandosi così, per sua scelta, di un reddito fisso.
Nel giudizio instaurato per la dichiarazione di cessazione degli effetti civili del matrimonio, il Tribunale affidava all’ex marito i due figli, ponendo nel contempo a suo carico un assegno di mantenimento di Euro 200,00 ed un assegno divorzile di pari importo a favore dell’ex moglie.
Tale decisione veniva ribaltata dalla Corte d’Appello, la quale, accogliendo il ricorso del marito, revocava l’assegno divorzile e giustificando tale provvedimento proprio in base alle libere determinazioni adottate dalla ex moglie: ella, infatti, in virtù del suo lavoro di commessa, percepiva uno stipendio annuo di circa 10.000 Euro, fino a quando decideva di cambiare città e trasferirsi dai suoi genitori, rimanendo così priva di occupazione lavorativa.
La Corte evidenziava anzitutto che la donna, ancora giovane ed in piena capacità lavorativa, aveva volontariamente causato il suo stato di bisogno e che nel frattempo ben avrebbe potuto continuare a svolgere il proprio lavoro, cercandone eventualmente un altro più redditizio e consono alle proprie esigenze.
I principi stabiliti dai giudici di secondo grado vengono quindi ribaditi dalla Corte di Cassazione, cui la donna ricorreva contestando la revoca dell’assegno.
La Corte, infatti, respingeva il ricorso alla luce proprio della menzionata sentenza n.18287/2018 delle Sezioni Unite, le quali hanno ribadito che “il riconoscimento dell’assegno di divorzio, in favore dell’ex coniuge, cui deve attribuirsi una funzione assistenziale, ed in pari misura compensativa e perequativa, ai sensi dell’art. 5, comma 6, della L. n. 898 del 1970, richiede l’accertamento dell’inadeguatezza dei mezzi dell’ex coniuge istante, e dell’impossibilità di procurarseli per ragioni oggettive.”
Nel caso di specie, rilevano gli Ermellini, “ragioni oggettive” per procurarsi i mezzi necessari non sussistono, sussistendo in realtà proprio delle ragioni soggettive, costituite dalla libera scelta della ex moglie di abbandonare il lavoro, pur essendo in piena capacità lavorativa, e privandosi così di un reddito certo, giustificandosi con ciò stesso la decisione di revocare l’assegno inizialmente assegnatole a favore