In materia di diritto condominiale assume particolare rilievo il tema della “destinazione d’uso” delle parti condominiali, con il quale s’intende la funzione che il bene ha assunto sin dall’inizio: oggetto di numerose controversie sono i casi in cui tale status originario subisce una modifica o trasformazione rispetto, proprio, al suo iniziale uso.
La vicenda, oggetto di una recente ordinanza della Corte di Cassazione (ord. n. 15265/2019) riguardava la modifica, da parte di due condomini, della destinazione d’uso di due unità abitative, trasformate in locali commerciali, attraverso la costruzione di una scala esterna in muratura, idonea a garantir loro un autonomo accesso.
Il Condominio citava quindi in giudizio i due condomini, chiedendo il ripristinarsi dello stato dei luoghi, la cui modifica era avvenuta in violazione del Regolamento condominiale, in particolare senza il rispetto delle previste maggioranze assembleari.
Avverso la sentenza della Corte d’Appello di Napoli che accoglieva il ricorso, i due condomini promuovevano ricorso per Cassazione.
Essi lamentavano anzitutto l’erronea qualifica, da parte della Corte, delle modifiche da loro realizzate le quali, sostenevano, non dovevano considerarsi quali “innovazioni” ex art. 1120 c.c. per le quali è necessaria l’autorizzazione dell’assemblea condominiale, bensì un mero uso della cosa comune, ai sensi dell’art. 1102 del codice civile.
I giudici di merito, invece, sostenevano che le opere effettuate avevano comportato un’alterazione dell’estetica e della simmetria del fabbricato, e che perciò dovevano qualificarsi come innovazioni.
Tale ricostruzione viene condivisa dai giudici della Suprema Corte, i quali condividono tale ricostruzione richiamando proprio l’accennata distinzione tra innovazioni e modificazioni, sia sotto il profilo oggettivo che soggettivo.
Sul piano oggettivo, precisa la Corte, le innovazioni incidono sull’essenza del bene comune, alterandone la funzione originaria e la destinazione; le modificazioni, invece, ex art. 1102 c.c., consistono in facoltà spettanti a ciascun condomino per utilizzare al meglio il bene, senza alterarne la destinazione.
Quanto al profilo soggettivo, l’innovazione si caratterizza per il rilievo dell’interesse collettivo, che richiede una maggioranza qualificata in assemblea, mentre la modificazione (o uso della cosa comune), essendo attinente ad un interesse del singolo condomino, non necessita di particolari interventi assembleari.
Alla luce di tale chiarimento, gli Ermellini hanno ritenuto che il cambio di destinazione dell’unità condominiale in locale ad uso commerciale, abbia determinato un mutamento tale da incidere sulla fruizione stessa del bene: una tale modifica si riverbera, appunto, sull’interesse collettivo di mantenere le destinazioni originarie delle diverse unità del condominio, per cui una trasformazione così incisiva richiede necessariamente un passaggio attraverso l’Assemblea condominiale.