L’inosservanza dell’obbligo di fedeltà coniugale rappresenta una violazione particolarmente grave che deve ritenersi, di regola, circostanza sufficiente a determinare l’intollerabilità della prosecuzione della convivenza ed a giustificare l’addebito della separazione al coniuge responsabile, sempre che non si constati la mancanza di nesso causale tra infedeltà e crisi coniugale, mediante un accertamento rigoroso ed una valutazione complessiva del comportamento di entrambi i coniugi, tale che ne risulti la preesistenza di una crisi già irrimediabilmente in atto, in un contesto caratterizzato da una convivenza meramente formale (Cass. 4803/18).
Il giudice in primo grado pronunciava una sentenza di separazione dei coniugi Tizio e Caia. La Corte d’Appello di Lecce, in parziale riforma della decisione di primo grado, riduceva l’assegno di mantenimento di Tizio nei confronti di Caia e dei figli Mevio e Sempronia e confermava la decisione di rigetto delle domande di addebito. In particolar modo, la Corte affermava che il fatto che l’intollerabilità della prosecuzione della convivenza fosse intervenuta dopo che il marito aveva appreso di non essere il padre biologico dei due figli non era stato provato, atteso che gli esami da quest’ultimo compiuti non potevano essere considerati attendibili nella misura in cui non se ne conosceva la provenienza, né poteva valere la confessione resa stragiudizialmente da Caia, perché fondata su diritti indisponibili.
Tizio presentava così ricorso per cassazione.
Caia resisteva con controricorso.
Nel giudizio innanzi alla Suprema Corte, Tizio sosteneva che la mancata paternità biologica del figlio Mevio era stata accertata con sentenza passata in giudicato e che tale fatto era stato altresì ammesso esplicitamente nel controricorso, in cui si affermava che “il giudicato era intervenuto dopo l’emanazione della sentenza gravata”.
Caia, al contrario, affermava che tale giudicato non potesse essere esaminato in tale sede di legittimità e, in aggiunta, che il ricorrente non avesse fornito prova rituale della sussistenza del giudicato, per la mancata produzione di copia con attestazione del cancelliere.
Entrambe le eccezioni venivano respinte: la prima perché l’accertamento contenuto nella sentenza passata in giudicato costituisce una regola di diritto e non un giudizio di fatto e come tale è inopponibile il divieto di cui all’art. 372 c.p.c.; la seconda invece, perché il principio secondo cui la parte che eccepisce il giudicato esterno ha l’onere di provarlo producendo la sentenza stessa corredata della idonea certificazione non si applica al caso in esame, atteso che il fatto della mancata contestazione della sentenza d’appello non era in quella sede semplicemente “non contestato” ma era invece espressamente ammesso nel controricorso.
Infine, la Corte suprema ribadiva l’importante e consolidato principio di diritto secondo cui l’inosservanza dell’obbligo di fedeltà coniugale rappresenta una violazione particolarmente grave che deve ritenersi, di regola, circostanza sufficiente a determinare l’intollerabilità della prosecuzione della convivenza ed a giustificare l’addebito della separazione al coniuge responsabile, sempre che non si constati la mancanza di nesso causale tra infedeltà e crisi coniugale, mediante un accertamento rigoroso ed una valutazione complessiva del comportamento di entrambi i coniugi, tale che ne risulti la preesistenza di una crisi già irrimediabilmente in atto, in un contesto caratterizzato da una convivenza meramente formale.
Se, pertanto, il tradimento determina la fine dell’unione, scatta l’addebito.
Se, invece, la fine dell’unione era già conclamata ed in tale contesto si verifica un tradimento, non può aver luogo l’addebito per colpa.
Nel caso in esame, l’impugnata sentenza veniva, in conclusione, cassata, dovendo il giudice del rinvio, designato nella Corte d’Appello di Lecce in diversa composizione, valutare l’incidenza degli accertamenti contenuti in tale giudicato sulla crisi coniugale, provvedendo così ad un nuovo esame del merito al lume degli esposti principi.